Science must push copyright aside
http://www.nature.com/nature/debates/e-access/Articles/stallman.html
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La scienza deve mettere da parte il copyright
Dovrebbe essere evidente che lo scopo dell'editoria
scientifica è la diffusione delle conoscenze scientifiche,
e che le relative pubblicazioni esistono per facilitare un simile
processo. Di conseguenza le norme che regolamentano tale attività
editoriale dovrebbero assecondare il raggiungimento di quest'obiettivo.
Le regole attualmente in vigore, note come copyright, vennero
stabilite all'epoca dell'invenzione della stampa, metodo intrinsecamente
centralizzato per la copia a livello di massa. Nel settore della
stampa, il copyright sugli articoli di queste pubblicazioni riguardava
soltanto gli editori, imponendo loro l'ottenimento del permesso
per la pubblicazione dei materiali, e i potenziali plagiaristi.
Ciò consentì a quell'attività editoriale
di operare e diffondere conoscenza, senza interferire con l'utile
attività di ricercatori e studenti, sia in quanto autori
o lettori dei testi. Si trattava di norme adeguate a quel sistema.
Tuttavia, la tecnologia moderna per l'editoria scientifica è
il World Wide Web. Quali le norme che possono garantire al meglio
la massima diffusione di materiale e conoscenze scientifiche sul
Web? Gli articoli andrebbero distribuiti in formati non-proprietari,
garantendone il libero accesso a tutti. E chiunque dovrebbe avere
il diritto a crearne dei mirror, ovvero a ripubblicarli altrove
in versione integrale con gli adeguati riconoscimenti.
Regole queste che andrebbero applicate sia a testi passati che
futuri, quando venga distribuito in formato elettronico. Ma non
esiste alcun bisogno reale di modificare l'attuale sistema di
copyright relativo alle pubblicazioni cartacee, poichè
il problema non riguarda quel settore.
Sembra purtroppo che non tutti siano d'accordo con l'evidente
verità che ha aperto questo saggio. Numerosi editori di
pubblicazioni scientifiche sembrano ritenere che lo scopo dell'editoria
specializzata sia quello di consentire loro quell'attività
in modo da incassare le quote di abbonamento da ricercatori e
studenti. Un ragionamento meglio noto come "confondere il
fine con il mezzo".
L'approccio di costoro è stato quello di impedire l'accesso
perfino alla lettura del materiale scientifica a quanti possono
e sono disposti a pagare per farlo. Si è ricorso alle leggi
sul copyright, che rimangono in vigore nonostante l'inadeguatezza
rispetto alle reti informatiche, come scusa per impedire ai ricercatori
di scegliere nuove regole.
Nell'interesse della cooperazione scientifica e del futuro dell'umanità,
dobbiamo rifiutare alla radice un simile approccio -- non soltanto
i sistemi di blocco realizzati su queste basi, ma anche le errate
priorità a cui sono ispirati.
Talvolta questi editori sostengono che l'accesso online richiede
l'impiego di costosi server di alta potenza, e che devono imporre
delle tariffe onde pagare le relative spese. Questo "problema"
è una conseguenza dell'analoga "soluzione". Offriamo
a tutti la libertà di creare dei mirror, e saranno le biblioteche
di ogni parte del mondo ad occuparsi di tali mirror per far fronte
alle richieste. Una soluzione decentralizzata che ridurrà
le necessità dell'ampiezza di banda e garantirà
la rapidità d'accesso, tutelando al contempo i materiali
di ricerca contro perdite accidentali.
Secondo gli editori, inoltre, lo stipendio dei redattori interni
richiede l'imposizione di tariffe per l'accesso ai materiali.
Diamo per scontato il fatto che i redattori vadano remunerati.
La spesa per la revisione di una comune ricerca varia tra l'uno
e il tre per cento del costo necessario alla sua realizzazione.
Una percentuale talmente ridotta non può giustificare l'ostruzione
nell'utilizzo dei risultati delle ricerche.
Al contrario, le spese di revisione potrebbero essere recuperate,
ad esempio, imponendo una tariffa per pagina a carico degli autori,
i quali a loro volta verrebbero rimborsati dagli sponsor della
ricerca. È probabile che costoro non sollevino obiezioni,
visto che attualmente sostengono spese ben più sostanziose
per via delle tariffe a copertura degli abbonamenti delle biblioteche
universitarie alle varie pubblicazioni. Modificando il modello
economico in modo che le spese di revisione siano a carico degli
sponsor della ricerca, è possibile eliminare l'apparente
bisogno di limitare la visione dei materiali on-line. L'autore
occasionale non affiliato con alcuna istituzione o azienda, e
privo del sostegno di uno sponsor, potrebbe essere esente dalle
spese di revisione, i cui costi andrebbero aggiunti a quegli autori
che operano all'interno delle istituzioni.
Un'ulteriore giustificazione per l'imposizione di quote per accedere
alle pubblicazioni on-line concerne la conversione degli archivi
cartacei in formato digitale. Occorre certamente portare a termine
simili progetti, ma dovremmo trovare modalità alternative
per sostenerne le spese, modalità che non prevedano simili
restrizioni d'accesso. Il lavoro in se stesso non risulterà
più difficoltoso, né produrrà la maggiorazione
delle spese. È controproducente riversare gli archivi in
formato digitale per poi sprecarne i risultati limitandone l'accesso.
La Costituzione statunitense sostiene che il copyright esiste
per "promuovere il progresso della scienza". Quando
è il copyright ad impedire tale progresso, la scienza deve
metterlo da parte.
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Questo saggio è apparso per la prima volta nel 1991 sul sito http://www.nature.com nella sezione Web Debates. Questa versione fa parte del libro Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman, GNU Press, 2002
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