L'autostrada degli armenti

Pioggia fine, pascoli e brughiere, la Topolino sale e scende per spazi liberi, bruca tra rocce muschiose e rotonde, terre smeraldo da mago Merlino. Intorno, all'abbeverata, vacche bianche sui prati. "Podoliche" le chiamano, le hanno portate secoli fa i longobardi. Pare che i "lumbard" venuti si trovassero a meraviglia nella dolce terra del Sud dove sboccia il gelsomino e fioriscono i limoni. Talmente bene che si fecero seppellire armati con tutto il cavallo qui, come puoi vedere al museo di Campobasso. Piaceva l'Appennino ai nordisti. Il tedesco Federico Secondo imperatore d'Italia vi nacque (a Jesi) e vi restò. Qui e non altrove scelse di godersi la vita errando di castello in castello con la sua magnifica corte.



Davvero non so perché le Alpi si chiamino Alpi. L'alpeggio vero sta qui, nelle terre lucenti del Sud. In questo viaggio è solo dalle Marche in giù che ho trovato animali al pascolo. Greggi nel Montefeltro, mandrie sui Sibillini, orde di maiali grufolanti sotto i Monti della Laga, di nuovo greggi sul Gran Sasso, ora di nuovo mandrie in Molise. Al Nord non ho visto niente di simile, solo campi deserti e bestie recluse in capannoni pozzolenti d'ammoniaca. Qui nel profondo Sud tutto cambia. Il vero latte è giallo, perché le bestie brucano anche i fiori. Non bianco, come ci fa credere la Padania padrona per rifilarci roba sterile fatta col fieno.

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Metti di essere in posto dove fa freddo, la pioggia tamburella sui vetri, e in cucina si prepara polenta e spezzatino. Un posto dove gli uomini sgobbano anche di domenica. Metti anche, sull'architrave di un caminetto, il simbolo rotondo del sole delle Alpi. Fuori, eco di campanacci con vacche al pascolo. Ecco: siamo arrivati in un posto così. Indovinate dov'è? Svizzera? Baviera? Lombardia? Veneto leghista? Macché. È Molise, Italia terrona. La casa natale dei Colantuono, grande dinastia di mandriani nella terra dei tratturi.
Impossibile ignorare i Colantuono ad Aquevive, paesino tra Isernia e Campobasso sotto i pascoli della Montagnola, sulla via della Puglia. Cinque fratelli, tutti nati di marzo, da bravi figli di transumanti, uomini che rientravano a casa in giugno, pronti a ingravidare le mogli dopo aver svernato sul Tavoliere. In cucina, una grande madre vestita di nero, dispensatrice di ordini e di cibo. Una tribù di nipoti. Una dinasty antica, che parte - si dice - dall'isola di Creta.

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"Poco a mangià non sacciu fa" ride mamma Vittoria, che tra pranzo e cena scodella venti pasti al giorno. Poi ci spinge al pasto patriarcale al cospetto del marito, il taciturno capofamiglia Nicola - i capi veri parlano poco - di anni settanta, figlio di Colantuono Felice, mitico conduttore di armenti tra il Gargano e le montagne del Molise. I maschi ci sono tutti, hanno facce andaluse, occhi neri, corpi tesi da cow boy, mani grandi, l'orgoglio di un lavoro fatto bene.
Si discute come ripartire con la transumanza, bloccata nel 2002 dagli uffici sanitari in tutto il Centro-Sud per la storia della lingua blu. Loro sanno che ripartire non è affatto un sogno. I tratturi ci sono, basta percorrerli. Sono una strada che appartiene per legge ai pastori. È ora di tornar fuori con le vacche e le greggi: ora basta con la stupida vergogna italica di essere pastori cafoni. È una vergogna che fa il gioco della grande produzione del Nord, più ammanigliata col potere.

Carmelina, la figlia femmina, serve a tavola e racconta: "Da bambina ho odiato la transumanza. Non avevo mai vicino mio padre. Piangevo a ogni partenza della mandria. Poi, col tempo, l'odio è diventato amore. Non sapete cosa significhi veder uscire cinquecento mucche nel polverone, tutte smaniose di andare. Ti viene da piangere. Quando arriva il momento, le nostre vacche non le tiene nessuno. Stanno sempre fuori, sono allenate a camminare, per loro il trasferimento è un richiamo irresistibile, una gioia".

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Il medico Beppe Battista ha seguito i Colantuono in un memorabile ritorno dai pascoli del Gargano e non può dimenticare. "Dopo un viaggio simile - dice - hai le visioni. Sogni, senti, vedi, tutto in modo diverso. Quando sono tornato non ho guidato l'auto per settimane. Non sopportavo la tv, nemmeno il mio letto. È incredibile essere nella mandria, con le vacche anziane che fanno strada, sanno già il percorso a memoria, e le giovani che vanno dietro, un po' spaesate, ma mansuete nel farsi condurre. Un concerto di campanacci che diventa musica".
Ricorda metro per metro la strada, percorsa in soli quattro giorni. Il ponte sul fiume Fortore, la lapide in latino con le tariffe del pedaggio, dal quale sono esenti, per decreto imperiale, solo "i preti e le puttane". Il torrente Tona, Santa Croce Magliano, Femmena Morta, Ripa di Mosani, la taverna tratturale di Torella. Le chiesette tratturali, che un tempo erano attrezzate con una locanda per le soste, come gli autogrill di oggi. Poi l'arrivo, con le donne che arrivavano dal paese col primo cibo caldo. Era qui, in Appennino, l'anima e la ricchezza del Paese.

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Barba nera come la pece, Nunzio Marcelli, primo laureato d'Italia a scegliere la pastorizia come mestiere, si siede come un gattone accanto al fuoco. "Gli spagnoli - brontola - hanno capito tutto, hanno riaperto la transumanza in grande stile, la vantano come evento, fanno passare gli armenti persino per Madrid. L'Italia invece dorme. Non capisce che questo è uno spettacolo unico, che incarna l'identità profonda del Paese". Federico secondo imperatore lo sapeva bene. Trasformò i tratturi in demanio reale e tolse ai baroni il diritto di gabella. Fu come togliere i pedaggi all'autostrada: si mise in circolo una ricchezza immensa. Qualcuno cercò di resistere, come Celano. Ma il re assediò il borgo per due anni, poi deportò tutti gli abitanti a Pantelleria.

Oggi i tratturi sono protetti come beni nazionali di prim'ordine, vincolati come il Colosseo, ma non serve a niente. Oggi c'è l'arraffa-arraffa, paesi interi hanno invaso l'autostrada degli armenti. A Pescolanciano persino la caserma dei Carabinieri s'è fatta su terra vincolata. Tanto, che può succedere? Lo Stato italico della devolution, a differenza dell'impero centralista del tedesco Federico, non reprime un bel niente. E intanto, mentre le nostre bestie sono impedite a muoversi, sopra la testa ci volano mucche straniere agli ormoni.

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Ancora pascoli, campanacci, faggeti secolari e una sorprendente Svizzera terrona che digrada verso Puglia e Basilicata. L'auto prende istintivamente la direzione degli armenti, cerca il tratturo verso gli spazi aperti del Tavoliere. E così, a Torella, prima di Campobasso, ecco in un altro pastore speciale. Mauro Caraffa, 44 anni, campano giramondo dai mille mestieri, ex istruttore di volo libero in California che a quarant'anni ha deciso di tornare alla terra di casa.
Nella stalla, accanto ai formaggi, dorme una decina di deltaplani nella custodia. Poco in là, insieme agli agnelli neonati, sbadiglia il vecchio border collie "Whisp", grande organizzatore di greggi. Può permetterselo, dopo una carriera di trentamila chilometri. È cieco, ma corre dal padrone, risponde ancora ai comandi, parte, si blocca, ruota su se stesso, torna indietro. "Questo brigante ha seminato figli ovunque" si commuove il pastore. "Whisp", che bel nome. Andrebbe bene al mio trabiccolo di lungo corso.
Sotto un enorme ombrello dal manico di legno, Mauro mi porta a ricuperare Ethan, un giovane americano che gli guarda le pecore ed è venuto a lavorare "part time". Andiamo insieme sotto la pioggia, e intorno il Molise è tutto un gregge in movimento. Quando partiamo, saluta mio figlio Andrea come se lo conoscesse da una vita. "Quando un pastore partiva, gli si diceva: t'accumpagno c'o pensiero. Bene, te lo dico anch'io: t'accumpagno c'o pensiero". Grande anima del Sud.

(14 agosto 2006)


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