Tra i Mammasantissima


Il giorno peggiore, in cui la Topolino salva la pelle per miracolo, inizia all'ombra degli aceri immensi di Serra San Bruno, dove una gran brezza notturna ci ha appena regalato una notte da re. "Dio vi ha dato una natura stupenda" dico a un distinto signore sui settanta che incontro presso l'ex Casa dei Giovani del Littorio, oggi proprietà della Regione Calabria.



Lui: "Dio ci ha dato tutto, ma gli uomini se ne fottono".
In che senso?
"Nel senso che nessuno lavora. Guardate la campagna come è incolta".
Ma il lavoro c'è?
"Ci sarebbe eccome. Però tutti vogliono il posto"
Quale posto?
"Il posto fisso. Quando ce l'hanno, non fanno più niente".
E' sempre stato così?
"Macché, vent'anni fa la gente lavorava".
Passeggiamo verso un impressionante calvario in pietra all'uscita del paese. Chiedo della mitica certosa di San Bruno nel bosco di faggi.
Lui: "Oggi non si va più a sentir messa. Si entra solo per Natale, Ferragosto, Pasqua, Capodanno e San Bruno".
Com'erano le messe una volta?
"Tutto il paese veniva, sull'altare c'era un tramezzo tutto lavorato, oltre c'erano i frati, il priore, i cantori, l'incenso, ma dal ballatoio potevi vedere oltre, era bellissimo".
Ora che succede nella certosa?
"I frati preferiscono la pace, e forse hanno ragione, col mondo che c'è. Lo sa che dentro s'era nascosto uno dei piloti della bomba di Hiroshima?"
Forse è una leggenda.
"Nooo, c'era, c'era sul serio. Mi creda, l'hanno visto. Dicono che solo lì abbia trovato la pace".

***

Appena scolliniamo verso lo Jonio l'inferno ricomincia e le note di viaggio si riducono a un rapportino idrico. Del tipo: "Bevuta aranciata. Fonte sul tornante. Fiumara in secca". Già dopo 30 chilometri - a Fabrizia, paese che si dice più povero d'Italia, ma dove passano robusti fuoristrada - finiamo esausti davanti al bancone di un bar deserto. Dentro, solo ronzar di mosche e un ventilatore acceso. La barista non esce, dobbiamo stanarla dal fondo del locale. E' il ritratto della pena, ci serve un chinotto con lentezza infinita.
Oltre il Passo di Croce Ferrata la strada scende fra promontori bruciati verso la sconvolgente fiumara del Torbido, porta della Locride. Si viaggia in bilico su pietrosi crinali, sempre in vista della fornace dello Jonio, giallo e immobile come oro fuso. Alla fontanella Cridoni, quota 790, la Topolino si succhia un litro e mezzo. Qualcosa non va, dovrò cercare un meccanico. Ma a Grotteria le strade sono deserte. Solo due pazzi come noi possono stare in giro col sole a picco.
Mammola è schiantata dal caldo, assordata da cicale furiose. Non mi fermerei, ma Antonio Milano magnifica da stamattina le delizie dello "stocco", lo stoccafisso su pasta fresca o in umido con patate. "Qui si mangiava solo stocco e alici salate, il pesce fresco non esisteva. Col levantazzo si moriva in mare, la pesca era cosa rarissima".

Al Mulino Rosso siamo gli unici commensali, lo stocco è davvero una delizia e il pranzo si stiracchia per due ore, solo per un po' d'aria condizionata in più. Parliamo di cibi, Antonio spiega come si taglia il peperoncino verde fresco, prima a croce, longitudinalmente, poi diagonalmente affetta con minuzia, "badando bene a non fregarsi gli occhi poi". Alla fine, rabboccato il radiatore, accompagno l'amico alla prima stazione e riparto da solo verso le terre d'Aspromonte. Sperando che il motore tenga.

***

In Italia l'auto serve a comunicare quanti soldi hai. Nel Sud serve a qualcosa in più: ostentare il controllo del territorio. Chi parcheggia di traverso occupando mezza strada, significa che qualcosa (o qualcuno) lo autorizza a farlo. Quel signore può essere un "mammasantissima", e allora non si sa mai: pochissimi protestano. Anche rivendicare un diritto può essere pericoloso. Ma in un mondo gommato dove il potere comporta ostentazione di arroganza, la Topolino destabilizza. Me ne accorgo a Geraci, un'altra magnifica acropoli a mezza strada tra il mare e il monte. C'è un matrimonio in piazza, vado a vedere, parcheggio in mezzo a grosse cilindrate. Attiro subito simpatia, persino i cupi locresi si inteneriscono di fronte alla piccolina. Si forma un capannello, il matrimonio passa momentaneamente in secondo piano.
A un tratto arriva un fuoristrada, il tipo alla guida vede la folla, pensa che in mezzo ci sia un pezzo grosso. Invece no, c'è una minuscola Topolino e un forestiero in braghe corte. Un'apocalissi delle gerarchie. A quel punto comincia a sgommare, e dopo una serie di manovre dimostrative parcheggia davanti al trabiccolo, apposta per impedirmi di uscire. Gli dico: "Guardi che sto andando via". Il tipo mi ignora, entra in chiesa con la moglie. Vedo che nessuno ride di fronte alla reazione spropositata e il capannello si scioglie. Solo una donna bellissima mi sorride, allargando le braccia. Me la ricordo bene: occhi mori, pelle andalusa, capelli corti grigi riccioluti, seno pieno e caviglie sottili. Capisco che è ora di andare. Cerco di far manovra - un pertugio c'è - ma ci metto tre minuti. Come l'autista di Franz Ferdinand a Sarajevo, che dopo aver sbagliato strada, ci mise troppo a ingranare la retro e diede alla fatal pallottola il tempo di partire.

***

Mille metri, in bilico tra i due mari, con faggete immense e tappeti di foglie secche di una regolarità inglese. Ombra e vento, mucche libere che attraversano la strada. Meraviglia. Passa un ciclista, mi chiede dove vado.
Aspromonte, gli dico.
Lui: "Piacere, Alberto Laganà, di Lamezia".
Mi presento.
"Ma lei è quello del viaggio in bici a Istanbul!".
Gli dico che se potessi gli darei la Topo e continuerei in bicicletta.
"Deve farlo, l'Aspromonte è un mondo".
Non so, dico, la Sila mi ha deluso.
"La Sila? Niente è. Qua deve venire. L'Aspromonte è un'altra cosa. E' il nostro Ararat, il Fujiama. Macchia impenetrabile, serpenti di sabbia che scorticano la montagna"
Tornerò, gli prometto, con la mia bici.
"Venga e la porto con me. Faremo la Fiumara del Buonamico. Una fiaba. Il mare sembra lontano mille chilometri".

***

Strada da Platì a Delianuova. Mentre medito che la macchinina sta scrivendo senza saperlo un trattato di antropologia italiana, sento una botta nel cofano, poi un gran casino nel motore, poi un silenzio da paura. Accosto. Sono assolutamente solo tra i boschi d'Aspromonte e il burrone che precipita su Gioia Tauro. Apro il cofano, la cinghia di trasmissione è andata. La puleggia s'è rotta, è diventata un falcetto e ha affettato il cavo.

Trovo il ricambio nel box d'emergenza sul sedile posteriore, ma non ho la più pallida idea di come si sostituisce. Quel che è peggio, il sole tramonta. Passa un caprone, mi guarda con l'occhio luciferino, scende a bere a una fontana. Ormai sono fermo da venti minuti è non è passato nessuno. Il telefonino non prende. Posso solo raccomandarmi alla Madonna di Polsi, che sta lassù tra le montagne. Se aiuta i boss, aiuterà anche me. Difatti qualcosa succede. Vedo uscire dal bosco un tipo in pantaloni corti e zaino. Un escursionista. Mi chiede se posso dargli un passaggio. Magari, gli dico. Ma guardi che rogna. Lui: "Sei fortunato, ho passato l'infanzia tra i motori". Mentre armeggia in cerca delle chiavi inglesi, noto che ha l'orecchino. E' bravissimo. In un attimo ha smontato il muso, trovato la puleggia di ricambio, sostituito il pezzo. Dovrei ringraziare la Signora di Polsi ma ormai sento l'Africa nell'aria e mi viene uno scherzoso "Allah è grande".

Partiamo insieme, il motore canta ristorato e felice. Il salvatore della patria si presenta: Diego Festa, guida in montagna. Gli chiedo di portarmi domani sulla cima dell'Aspromonte. Lui ci sta, e mi pilota verso i Piani di Carmelia, dove sta l'unico rifugio sotto la vetta. Capo Sud è alle porte, forse ci siamo già domani sera. Dalla montagna al gran finale, ormai, è solo discesa.

(23 agosto 2006)


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