Tra acque e memorie perdute

Ottavo giorno, dove la Topolino attraversa il Mugello. E scopre che i torrenti sono stati inghiottiti dai lavori per l'Alta velocità. Si scollina a Predappio, meta di pellegrinaggio per i nostalgici del Duce. Mentre a Meldola si rievocano gli orrori delle torture fasciste



Conca del Mugello, notte fonda e uno strano silenzio attorno al podere Macerata, località San Giorgio di Luco. Un silenzio che tiene svegli. Contro la finestra aperta c'è il profilo del mio compagno di viaggio che sibila regolare nel letto. Fuori, il bosco di castagni, il fienile col trattore, la Topolino coperta con un telo, il roseto. Ha piovuto nel pomeriggio, il Mugello ha un profumo umido di campagna vera, fieno e letame, niente a che fare col Chianti griffato dei ristoranti su prenotazione. Canto di grilli, stormir di fronde, ma alla notte manca qualcosa.

Al mattino, Federico e Annamaria, padroni del posto, danno un volto alla mia inquietudine. Il Mugello ha perso i suoi torrenti. I greti sono asciutti. Gli abeti disidratati. I fiumi desaparecidos. I pozzi a secco. Una catastrofe, consumatasi in pochi anni, da quando la "talpa" dell'alta velocità ferroviaria ha bucato la pancia dell'Appennino risucchiandone le acque profonde, gli immensi laghi sotterranei, le falde e le risorgive. Mi portano a vedere: il pozzo è vuoto, il marroneto a secco, il torrente ridotto a un rigagnolo, il terreno accanto addirittura sprofondato di qualche metro.

Sulla mappa trovi acque dai nomi favolosi. Ma prova a evocarle: non ti risponderanno. Fonte al Ciliegio! Assente. Fonte della Canina! Assente. Fonte Frassineta! Assente. Fonte di Fosso Lupaio! Assente. Torrente Bagnone! Assente. Fiume Rovigo! Assente. Qui ogni casa aveva la sua sorgente. Ma poiché ogni sorgente aveva il suo santo protettore, ora senz'acqua anche i santi se ne sono andati. Dei in esilio. Persino la Madonna dei Tre Fiumi, sulla strada per Marradi, ha perso il senso del nome. S'affaccia su un territorio senza voce.

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Angelo Paoli faceva l'idraulico. Ora che è in pensione va a caccia di acque perdute. Le annota con precisione notarile. Torrente Veccione, sotto la badia di Santa Maria di Moscheta, scomparso. Torrente Carpine, scomparso. Torrente Erci, ricco di gamberi, scomparso. Torrente Rampolli, dalle acque classificate a salmonidi, scomparso. Torrente Bosso, dai sette leggendari mulini, scomparso pure lui. Mi mostra un serpente boa di plastica nera che traversa i boschi del Poggio Rotto. È il tubo con cui fino a ieri la Tav ha pompato acqua per tenere in vita i torrenti. Oggi è lì, contorto e abbandonato. Nessuno pompa più niente.

Vengono le università, arrivano i soloni con i politici e i cortei di auto, si fanno conferenze e consulti milionari sull'acqua che non c'è, ma nessuno fa l'unica cosa necessaria: una valutazione d'impatto ambientale. La fregatura è che non hai un nemico con cui prendertela. La Toscana è di sinistra, il Mugello pure. La Tav neanche parlarne, tutta di sinistra anche lei, nata sotto il governo Amato. Incontro Piera Ballabio, combattente anti-Tav da prima linea. Racconta: "Me li ricordo bene i sindaci contrari. Li chiusero in stanze separate al ministero e uno a uno li costrinsero a firmare".

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"E vaaaaa la vita vaaa, la bicicletta l'è una gran comodità", Franco canta a squarciagola, capote spalancata verso i picchi del Falterona, anche la Topo va, terza-seconda-terza, s'arrampica sull'ex Statale 67, cerca di nuovo il crinale tra epici paracarri d'anteguerra. "Fuoco di Vesta che fuor dal tempio irrompi, con ali e fiamme la giovinezza va...". Non so cosa ci ha preso di andare a Predappio a dare un salutino al Duce. C'è che la macchinina è nata nel '36, anno della conquista d'Etiopia e apogeo del consenso al regime. E c'è che vogliamo, anche, capire come diavolo l'estetica del granito abbia prodotto un'utilitaria così "coquette", tutta musetto e culo. Sensuale e femminile.

Ex Statale 9 Ter, il sole a picco, il sasso fischia, il nome squilla, sul passo dei Tre Faggi Franco si scatena: "Duce Duce chi non saprà morir? Il giuramento chi mai rinnegherà?". Non è fascista, canterebbe l'Internazionale arrivando in Piazza Rossa. L'Italia cialtrona scompare col segnale del cellulare. Finito tutto: Michele Cocuzza, Cristina Parodi, l'Isola dei famosi. A noi basta un pediluvio nel Rabbi, limpido tra prati verticali disseminati di cavalli e mucche bianchissime. Al Touring devono essere matti, la carta al 200 mila non svela gli incantesimi di questa valle. Neanche un segno di nota per Premilcuore, splendida, con le case a picco sul fiume.

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A mezzogiorno Predappio sonnecchia, deserta. Quello mussoliniano è un Appennino rettificato, romanizzato, deprivato della sua magia. Viali infuocati a novanta gradi, la piana centuriata che invade la collina. Nella cripta del Duce solo due giovanotti tatuati con due gnocche dall'ombelico in mostra. Com'è strano il rispetto della Destra. Intanto nel registro le firme crescono al ritmo di cento pagine al mese. Leggo: "Da Mestre con onore". "In questo momento avremmo bisogno di te". "Brigata nera Stefano Rizzardi, Bologna". Ma la più straordinaria è la federazione dell'Msi di Verona, che si data "LXXXIV, anno 84° dell'era fascista". Vorremmo aggiungere: "Berlusconi mai più", ma lasciamo perdere.

Toh, al bar in paese sento discorsi di sinistra. Sinistra tosta. "Peccato - dicono - che non abbiano fatto presidente della Repubblica D'Alema. Così ce lo toglievamo dai coglioni". Chiedo: "Ma Fini non l'avete più visto da queste parti?". E loro: "No, dopo Fiuggi niente. Oggi è più facile che venga Veltroni. O Napolitano. Abbiamo appena buttato a mare l'uomo che ride, e già ci fanno discorsi di riconciliazione... Ah, nulla ci sarà risparmiato... Saluto al Duce, camerata triestino!". Ridono i compagni, e la pianura è un risucchio, una vampa africana che sale da Forlimpopoli. Emilia-Romagna basta, ci siamo dentro da troppi giorni. In serata vogliamo entrare nelle Marche, attraverso le colline del Montefeltro.

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A Meldola, paese di rosse logge e bianchi selciati poco oltre Predappio, stanno giusto rievocando la vita e la morte del partigiano Antonio Carini, massacrato dai fascisti sul ponte lì vicino nel marzo del '44. C'è una cosa solenne in teatro, col sindaco Loris Venturi e l'attrice Roberta Biagiarelli, una brava assai, che ha appena prodotto "Resistenti", uno monologo documentatissimo sui partigiani del Piacentino, la stessa terra di Carini. Racconti terribili, raccolti dagli ultimi testimoni vivi. Da imporre per decreto alle sinistre smemorate di oggi.

Figlio di un barcaiolo del Po, Carini emigra in Argentina a vent'anni, ad aiutare i campesinos. Poi va alla guerra di Spagna, dove lo feriscono tre volte. Nel '43 diventa commissario politico nelle brigate della zona di Bologna, poi passa a Forlì dove lo catturano. Infieriscono su di lui per una settimana con ferri roventi, dentro la Rocca delle Caminate, villa mussoliniana trasformata in prigione. Chi ne uscì vivo ricorda: le sue urla si sentivano nei corridoi, c'era odore di carne bruciata, il corpo sanguinolento e vivo era mostrato agli altri prigionieri, per convincerli a parlare.

Alla fine lo pugnalarono sul ponte di Meldola e lo buttarono giù, perché tutto il paese vedesse. E poiché non era ancora morto, lo finirono a colpi di pietra sul greto. Dopo la guerra, la storia del nuovo eroe dei due mondi entrò nella leggenda del Forlivese. "Finire nelle mani dei fascisti era peggio che esser presi dai "tudòsc"" conferma il piacentino Giuseppe Scapuzzi, 80 anni, nome di battaglia Franz. "I "tudòsc" erano cattivi quando c'era da esser cattivi, ma non si perdevano in vendette personali. I fascisti invece ti torturavano anche per invidia, questioni di soldi o di donne".

Sotto il ponte dell'orrore sul fiume Bidente nuotano felici i bambini. Dovrebbe essere tutto finito: invece ce ne andiamo con in bocca il sapore di qualcosa di non digerito, qualcosa che può succedere ancora. Hanno pagato gli assassini di Carini? Mah. Romagna addio, l'Italia di Mezzo comincia.

(7 agosto 2006)


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