Dentro la cava del fantasma


Quinto giorno, dove la Topolino incontra badanti ucraine, macchine di fiori e memorie di carabinieri disarmati dai ribelli
"In posti così capisci il senso della parola forestiero"
"Se stanotte vuoi dormire, lascia stare i Buioni"
Le chiamano Alpi, ma che importa? Le Apuane sono buie, fatte di faggi e di castagni, e raccontano storie dure come il marmo



Quando vedi un bell'hotel nei boschi d'Appennino, prima di chiedere una camera accertati che non sia una casa di riposo. E' facile sbagliare perché ne trovi ovunque, e sono pure identiche agli alberghi. Alla reception cerca di avere risposte definitive, per evitare malintesi: se hai la barba bianca e sei lessato dal viaggio, magari ti dicono che è il posto perfetto per te e l'imbroglio continua. Non farti fregare da nomi come Beatitudini, Pace delle vette, Perla, Oasi, propiziatori di favolose dormite. Soprattutto non ti inganni un certo andirivieni di donne, alte e rassicuranti, tra l'albergo medesimo e i paesi intorno. Sono badanti.
Individuare le badanti è la cosa più facile del mondo. Sono le uniche creature a camminare sulla strada. In Italia solo gli stranieri lo fanno. Lo fa anche Nina, bielorussa, che imbarco in mezzo alle Apuane, in un bosco di castagni più buio dell'inferno. Ha trent'anni, grandi occhi liquidi come neve sciolta e lavora in un ospizio, giusto sulla mia rotta. Sale senza commenti sulla strana auto che la mena a destinazione con accelerate pirotecniche, cambi frenetici e curve da ottovolante. Sbarca dopo dieci minuti davanti a un cartello che indica, con identica grafia, vette, chiese e ospizi. Come in un giallo di Duerrenmatt.
L'Appennino è un cronicario, e senza le dolci signore dell'Est sarebbe un cimitero. I vecchietti ci sono sempre, anche se non li vedi. Magari li hanno rinchiusi nel seminterrato del tuo albergo e tu non lo sai. M'è capitato sulla strada del passo del Cerreto, sopra Reggio Emilia. L'ascensore portava in cantina solo con la chiave e la porta del fondo scale era inchiodata. Chiesi come mai ed ebbi risposte evasive. Poi seppi che dentro vi avevano murato i superstiti dell'ex manicomio di Reggio. Quaranta "psico-geriatri", un eufemismo per dire vecchi dementi. Non un reparto a esaurimento, ma una catacomba per inquilini sempre nuovi. Ombre relegate in cantina, come nella fiaba di Barbablù. E sopra c'era l'arcigna Pietra di Bismatova; quella - per capirsi - che diede all'Alighieri l'idea del Purgatorio.
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Nel negozio di alimentari di Monzone, solido paesone con campanile romanico, ci mettono dieci minuti a prepararmi un panino al salame solo per capire - con sorrisi e domande insistenti - da dove vengo, dove vado e perché uso quel diavolo di macchinina. A Monte dè Bianchi, che traverso in un fortissimo profumo di forno a legna, l'arrivo del viaggiatore è un evento che attira mezzo villaggio. La Topo è teneramente battezzata "Piccina". In posti così capisci il senso della parola "forestiero": sei colui che "esce dalla foresta". E intanto la piramide del Pizzo d'Uccello si svela sopra un curvone. Scintilla, sembra un dentone che sfonda la gengiva della scorza terrestre.
E poi, Ugliancaldo, con quel nome da druidi, le ombre degli indomabili Liguri e le fontane di pietra che paiono menhir. Posti dove Roma imperiale e l'unità d'Italia furono eventi trascurabili. Apuane: se i luoghi hanno un'energia segreta, è impossibile evitare queste cime che emergono come pezzi di banchisa scovolti dalla corrente, oltre l'onda lunga verdescura dello spartiacque Tirreno-Adriatico. Dicono storie dure di cavatori e scalpellini, anarchici e partigiani, cinghiali e bracconieri. Si chiamano Alpi? Che importa. L'ostacolo è irrilevante. Se ci sono Alpi che si chiamano "Pennine", le Apuane potranno pur rubare il marchio d'origine alla più rinomata catena del Grande Nord.
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Gorfigliano, birra alla pizzeria "Al Cavatore", con i sottopiatti decorati da parole crociate e un vecchio rugoso come un Navajo che mi osserva. Fuori, la montagna sbancata incombe con pareti marmoree, abbacinanti. Sono in una storica tana di anarchici. Con la dinamite delle cave a disposizione, il loro passaggio alla Resistenza fu automatico. Ma il bello venne dopo: il paese rimase ostile al potere anche dopo il '45, un'isola ribelle come le Krajine dell'ex Jugoslavia. "Alla fine, mandarono cento Carabinieri per ridurci alla ragione", racconta il Navajo. "Era il '52, Coppi e Bartali correvano ancora, come la sua macchinina".
Successe che i CC si trovarono di fronte a duecento donne inermi, le quali, arretrando furbe, li attirarono in trappola. I militari vennero circondati e ignomignosamente disarmati. Ma lo Stato, spiega il vecchio, non poteva perdere la faccia. Fu mandato un deputato a parlamentare. "Uno in gamba, Leonetta Amadei si chiamava, oggi non ne trovi più così". Fu lui a fare l'accordo: gli operai sarebbero stati accontentati nelle loro richieste. Ma uno, uno solo di loro, avrebbe dovuto pagare. Così le maestranze tirarono a sorte il nome dell'uomo da consegnare agli sbirri. Da allora, per dodici anni, fino alla sua uscita di galera, si sarebbero tassati per garantire lo stipendio a colui che aveva pagato per tutti.
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"Attento ai Buioni; i fantasmi che abitano nella pancia della Apuane", avverte con studiata voce di tenebra lo speleologo Andrea Gobetti. Mi aspetta sull'Alpe per un giro a piedi verso il Monte Pigliònico e una grotta ventosa detta "Tana che urla". Sessantottino affabulatore, dinoccolato e di buona fiasca, vive arroccato tra gli ulivi della Lucchesia. "Se vuoi dormire in pace, i Buioni devi lasciarli al buio, altrimenti le tue notti si popolano di incubi". Racconta che lì, sotto il lago artificiale di Vagli, passa l'antica via Vandelli, con la storia terribile del suo progettista, suicidatosi per aver fallito lo scavalco, troppo ripido, delle Apuane. Ogni dieci anni svuotano il bacino per ripulirlo dai fanghi, e allora sentieri e villaggi riemergono, con le loro creature di tenebra.
Troviamo uno scorpione e una vipera sulla soglia della casa abbandonata di Fosco Maraini, che raggiungiamo tra i faggi giganteschi dell'Alpe Sant'Antonio. Anche loro sono guardiani di un'ombra. L'esploratore è morto da due anni soltanto, ma i gerani sono già morti, l'orto recintato s'è coperto di erbe matte. Solo la legnaia ha qualcosa di vivo, con i ceppi accatastati in ordine perfetto, e divisi per dimensioni. Un'ora dopo finiamo con i piedi nel torrente, a mangiar pane e pomodorini, conditi con birra scura di Pilsen. Sopra di noi, cavi ad alta tensione che cantano per vibrazione eolica. Verso la scarpata, l'odore fortissimo di un muflone.
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Lucciole tra gli ulivi di casa Gobetti a Matraia, perfetto caravanserraglio per viaggiatori. Nerina è parcheggiata accanto a Kowalski, una leggendaria Opel 2000 trasformata in serra per fiori. Con due aperitivi in corpo, a pancia all'aria tra i grilli, Andrea mi indottrina sulle tre dimensioni del tempo. Quello celeste, costruito su orbite. Quello marino, fatto di onde. E quello ipogeo, popolato di bivii del destino. Anche il tempo di questo viaggio, a pensarci, è fatto di incroci: un procedere da sommergibilista nella pancia del tempo. Sotto di noi, la pianura ronza in un mare di luci.
A cena apriamo la carta delle meraviglie, con le meticolose indicazioni del viaggio. A tavola c'è anche l'attore Giuseppe Cederna, dai grandi occhi miti, che vuol sapere tutto di questo viaggio fuori rotta. Quella mappa, ormai lo so, ha poteri taumaturgici, eccita la fantasia, scatena memorie, induce ai consigli più strampalati. "Vai a Terrinca - già s'infervora Gildo, il vicino di Andrea, pozzo di arcane storie garfagnine - lassù per secoli gli uomini hanno fatto un solo mestiere, i preti". "E le donne avevano le tette alte" ride un commensale.
"Vai anche a Seravezza" intima un altro. "Sulle Apuane sopra Forte dei Marmi, dove si arrostiscono i notai di Forza Italia, c'è un parroco che nelle prediche manda tutti i ricchi all'inferno e ha la canonica accanto alla sede di Rifondazione". Ancora nomi, indirizzi, punti d'appoggio. L'Italia s'allunga, ora pare il Sudamerica. E la Calabria Capo Horn.

(4 agosto 2006)


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