ASSOLI: Progetti operativi in Italia e in Europa
Introduzione
L'Associazione Software Libero (http://www.softwarelibero.it/)
nasce nel novembre 2000 ponendosi come scopi di base la corretta
informazione e la diffusione della conoscenza secondo quanto definito
del 1984 da Richard Stallman all'atto della creazione della Free
Software Foundation: libertà di utilizzo del software,
libertà di studio, libertà di modifica, libertà
di ridistribuzione. Il tutto poggia su un presupposto: l'accesso
al codice sorgente.
Sono stati sufficienti tre anni di attività perché
fosse chiaro come le principali minacce a questo genere di libertà
non derivassero esclusivamente dalle holding dell'informatica,
promulgatrici dagli Anni Ottanta in avanti di una politica di
chiusura delle informazioni. Le minacce, ad oggi, arrivano anche
dalle istituzioni che, in ritardo e a volte con scarsa cognizione
di causa, legiferano sotto la spinta di lobby interessate alla
preservazione dei propri privilegi di mercato. Ed ecco che non
si va più solo a ledere la libertà di sviluppo del
software, elemento che già di per sé dovrebbe indurre
a una riflessione, ma anche le libertà fondamentali dei
cittadini, identificabili con quella di espressione e parola.
Perché provvedimenti come la brevettazione delle invenzioni
immateriali (che coincide con il software) e la direttiva europea
sull'armonizzazione del diritto d'autore insinuano proprio queste
genere di rischi. Danneggiando sviluppatori e utenti, tecnici
e profani.
Ma a volta capita anche che un movimento nato spontaneamente agli
albori dell'era digitale e poi ufficializzatosi per difendersi
dalle aggressioni delle regole del business, qual è il
software libero, penetri le mura di quelle stesse istituzioni
portando, seppur lentamente e con difficoltà di comprensione,
i propri valori al vaglio di amministrazioni centrali e periferiche.
Contribuendo così non solo alla veicolazione del proprio
messaggio intrinseco, ma anche a una maggiore democratizzazione
degli enti pubblici attraverso l'accesso ai dati e alle informazioni.
E, non ultimo, a volte anche al superamento del gap tecnologico
tra il primo mondo, l'Occidente industrializzato e potente, e
gli altri mondi, quelli dai capitali limitati e dall'assenza di
tecnologia capillare o, quanto meno, diffusa.
Sono questi i motivi per cui di seguito vengono presentati tre
progetti dell'Associazione Software Libero, tre cavalli di battaglia
attraverso i quali scardinare, o almeno tentare, la visione imperante
dell'informatica legata al pagamento delle licenze, alla mera
esecuzione dei programmi, alla limitazione delle informazione
per trasformare gli utenti in 'pigiatori' di tasti e icone a cui
manca però la conoscenza di fondo, quella che si cela dietro
alle interfacce grafiche e che costituisce uno dei presupposti
della libertà.
Parte dei testi riportati sono presenti sul sito dell'Associazione,
sono liberamente consultabili e altrettanto liberamente sono veicolabili
secondo quanto riportato in calce alle pagine web: "la copia
letterale e la distribuzione del materiale qui raccolto nella
sua integrità sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione
che questa nota sia riprodotta (se non diversamente indicato)".
EUCD (European Union Copyright Directive)
L'EUCD viene contrassegnata come legge comunitaria
29/2002, e le sue intenzioni sono l'armonizzione della disciplina
relativa al diritto d'autore. Peccato che tale provvedimento,
recepito in Italia a fine marzo 2003 per decreto legislativo ed
entrato in vigore il 29 aprile successivo, non miri tanto a tutelare
chi, teoricamente, dovrebbe beneficiare dalla sua introduzione,
cioé gli autori. Il suo obiettivo è invece la preservazione
di benefici già esistenti (quelli imposti di fatto dalle
multinazionali dell'informatica e dell'entertainment, tanto per
citarne due) e semmai radicalizzarli attraverso recrudescenze
legislative.
L'EUCD è la direttiva della Comunità europea nata
per uniformare la legislazione sul diritto d'autore in vigore
nei Paesi membri. Si tratta di un argomento estremamente importante
per la società, perché ogni persona ha che fare
con il diritto d'autore ogni volta che accede ad una qualunque
opera, documento o informazione.
Il diritto d'autore è un insieme di leggi che forniscono
agli autori alcune prerogative sulle proprie creazioni (come il
monopolio sulla riproduzione). L'esistenza di tali leggi è
giustificata dal fatto che
esse incoraggiano la produzione di nuove opere, favorendo la diffusione
del sapere e il progresso sociale (http://www.biblio.liuc.it:8080/biblio/liucpap/pdf/44.pdf).
L'EUCD introduce nuove norme che ampliano
il diritto d'autore, ma di fatto ne contraddicono le finalità
positive. Concede nuovi privilegi legali ai colossi del settore,
senza però offrire alcuna nuova garanzia agli utenti. Questa
impostazione sposta il bilanciamento dei diritti e dei doveri,
favorendo i grossi produttori a spese di tutti coloro che, in
vario modo, utilizzano le moderne tecnologie.
Contiene quindi molte norme pericolose, tutte riconducibili a
un problema fondamentale: la tutela legale per le "misure
tecnologiche di protezione", ovvero per i sistemi che regolano
l'accesso e la copia di materiali coperti da diritto d'autore.
La "tutela legale" implica che ogni tentativo di aggirare
queste misure diventa reato.
Sancisce quindi un nuovo potere per gli editori: quello di ricorrere
a sistemi digitali che stabiliscono in che modo gli utenti possano
utilizzare le opere possedute (come e-book, CD contenenti musica
o dati, DVD).
Questo significa che domani assisteremo alla diffusione di e-book
a tempo, che diventano inutilizzabili dopo un certo periodo, e
non possono essere stampati o ceduti a parenti o amici; CD musicali
che non si possono copiare, o memorizzare sul computer o sul lettore
MP3 portatile; film in DVD che si possono guardare solo in certi
Paesi e con certi sistemi operativi; programmi che automaticamente
cancellano dal proprio PC i file ritenuti "illegali";
computer, periferiche e sistemi operativi che si rifiutano di
leggere dati ritenuti "non autorizzati". L'elenco potrebbe
continuare ed è potenzialmente molto ampio. Una applicazione
estensiva di questi sistemi potrà togliere agli utenti
ogni controllo sul funzionamento delle macchine in loro possesso.
Non si tratta di semplici ipotesi: tutto questo avviene già
oggi. Ma l'EUCD richiede che gli Stati europei difendano queste
misure tecnologiche, creando leggi apposite: domani, quindi, ogni
tentativo di aggirare le vessazioni di questi sistemi di protezione
potrebbe essere punito con il carcere; chi crea programmi che
leggono certi tipi di file potrebbe commettere un reato; anche
chi solamente discute su come evitare una limitazione tecnologica
potrebbe rischiare la galera. Le persone accusate potrebbero essere
punite anche se non avessero mai commesso atti oggi illeciti perché
ritenuti violazioni del diritto d'autore.
Con l'applicazione dell'EUCD, alcuni casi recentemente balzati
all'onore delle cronache avrebbero avuto conseguenze diverse:
il creatore del DeCSS sarebbe stato condannato; chi ha scoperto
come superare le limitazioni dei CD anti-copia usando un pennarello
sarebbe un criminale; anche chi utilizza o semplicemente rende
note queste invenzioni correrebbe il rischio di ritorsioni legali.
Negli Stati Uniti questo scenario è già realtà,
a causa del Digital Millennium Copyright Act (DMCA): una legge
che ha permesso a varie aziende di ottenere arresti, intimidazioni
e censure che hanno colpito utenti, programmatori, ricercatori.
E le norme del DMCA sono le stesse previste dall'EUCD.
Con le norme introdotte dalla direttiva,
diventa illegale l'aggiramento di tutte le "misure tecnologiche"
(anche se facilmente superabili) che regolano l'accesso e la copia
delle opere digitali, e diventa illegale l'offerta di informazioni
e servizi, o la creazione di programmi che possano facilitare
tale aggiramento. Gli autori/editori possono proibire agli utenti
di cedere o rivendere le opere digitali, come software o e-book,
regolarmente acquistate attraverso Internet, e possano controllarne
qualunque diffusione.
Agli utenti non viene riconosciuta alcuna garanzia di poter utilizzare
in modo ragionevole le opere in formato digitale. Il riconoscimento
legale delle "misure tecnologiche" di protezione sancisce,
di fatto, l'introduzione di un nuovo privilegio per i detentori
dei diritti sulle opere: la possibilità di poter influire
sull'utilizzo delle opere stesse. Infatti le "misure tecnologiche"
dichiarate intoccabili dall'EUCD potrebbero imporre restrizioni
estremamente severe per gli utenti, ed esse non potrebbero essere
aggirate per alcun motivo. Si pensi ai film in DVD che possono
essere guardati solamente in certi Paesi, agli e-book che non
possono essere stampati, o ai cosiddetti "CD anti-copia"
che non possono essere ascoltati su computer: queste vere e proprie
truffe ai danni degli utenti verrebbero protette dalla legge,
e rese inaggirabili
A rischio anche la possibilità di scegliere quale software
utilizzare per gestire i propri dati. La creazione di software
interoperante richiede il superamento delle misure tecnologiche
che proteggono i formati dati. Questa procedura è indispensabile
per creare, per esempio, programmi che leggano i DVD, o altri
documenti (anche di propria creazione) criptati, protetti da password
o comunque memorizzati con alterazioni (anche molto semplici)
che ne impediscano una lettura diretta. L'aggiramento delle misure
tecnologiche, tuttavia, è vietato dall'EUCD - e quindi
la direttiva di fatto riserva ad una sola azienda la possibilità
di creare applicazioni che gestiscano un formato dati da essa
creato. Gli utenti potrebbero perdere qualunque possibilità
di scelta.
Verrebbe altresì negata la possibilità di cedere
o rivendere i materiali digitali ottenuti attraverso Internet.
Questo rende impossibile la nascita di un mercato degli e-book
o del software "usati", che porti a una riduzione dei
prezzi come avvenuto nel mercato del libro tradizionale. Inoltre,
ogni documento diffuso via Internet potrebbe essere censurato
in qualunque momento dalla sua fonte, l'autore o l'editore, e
nessuna delle persone che ne abbia ottenuto legalmente una copia
avrebbe il diritto di renderla nota in alcun modo. Questo pone
dei gravi rischi alla futura possibilità di accesso a materiale
di rilevanza storica e documentaristica
Sarà impossibile sapere se i programmi utilizzati siano
sicuri o meno. Le informazioni sulle falle e difetti (bug) del
software potrebbero agevolare l'aggiramento di "misure tecnologiche"
difettose. Tali informazioni potrebbero essere quindi censurate,
e gli utenti potrebbero essere tenuti all'oscuro dei problemi
dei programmi utilizzati - con grande vantaggio di varie aziende
produttrici di software proprietario, non più costrette
a correggere i problemi dei propri prodotti.
La libertà di espressione su Internet sarà in grave
pericolo. Qualunque informazione in grado di agevolare l'elusione
di misure tecnologiche potrebbe essere dichiarata illegale, con
gravi conseguenze sulla libertà di espressione e di stampa.
Inoltre, le informazioni e i programmi resi illegali dall'EUCD
potrebbero essere rimossi da Internet in modo estremamente rapido,
con atti di censura che non richiedono l'intervento di un tribunale.
Infatti, a causa della già citata direttiva sul commercio
elettonico, ogni ISP (Internet Service Provider) che ospita le
pagine Web degli utenti verrebbe di fatto costretto a soddisfare
le richieste di oscuramento (più o meno motivate) provenienti
dalle grosse aziende. Agli utenti verrebbero lasciate ben poche
garanzie e possibilità di sfuggire alla censura.
Agli sviluppatori viene proibita la creazione di software in grado di interoperare con altri programmi e sistemi operativi proprietari: per produrre software interoperante, infatti, è necessario studiare il comportamento del software originario, aggirando le misure tecnologiche che rendono difficoltosa la lettura dei formati di scambio dei dati. Ma l'EUCD rende illegale questa pratica di aggiramento - e quindi un'azienda che subisca la concorrenza di un nuovo programma in grado di gestire gli stessi dati potrebbe denunciarne il creatore per il reato di "elusione di misure tecnologiche". Uno sviluppatore che superi una misura tecnologica per garantire l'interoperabilità potrebbe essere incarcerato, anche se egli non avesse mai compiuto alcuna violazione del diritto d'autore. Inoltre, i programmi (liberi e non) ritenuti scomodi da qualche azienda potrebbero essere rimossi da Internet con una semplice telefonata intimidatoria all'ISP che ne ospita il sito, magari con l'accusa di essere degli strumenti in grado di agevolare l'elusione di misure tecnologiche. Tutto questo porta direttamente al monopolio legale sui formati dei dati.
Da notare, infine, che gli studi su crittografia
e sicurezza sono basati essenzialmente sull'analisi della robustezza
del software e degli algoritmi; questa analisi viene effettuata
eseguendo dei tentativi di aggiramento delle misure tecnologiche
di protezione. Purtroppo, tale pratica è vietata dall'EUCD
- ed anche la comunicazione dei dati su questi studi è
dichiarata illegale, e censurabile con estrema facilità.
Chiunque aggiri delle misure tecnologiche, o diffonda informazioni
su questo argomento, potrebbe essere arrestato, pur senza aver
mai compiuto violazioni del diritto d'autore.
Tali limitazioni rappresentano un evidente ostacolo alla libertà
di ricerca, e frenano inevitabilmente i progressi nel campo della
crittografia e della sicurezza informatica: fino ad oggi, queste
attività sono state svolte alla luce del sole, ed hanno
portato enormi benefici per il miglioramento del software disponibile;
ma, a causa dei divieti previsti dall'EUCD, le ricerche su crittografia
e sicurezza diventerebbero sostanzialmente illegali e per questo
verrebbero trattate solo "sotterraneamente", per scopi
tutt'altro che leciti (gli stessi che l'EUCD cerca di contrastare).
EUCD in Italia
Per l'Italia il pericolo appare assai concreto
e vicino: infatti è diventato esecutivo il decreto legislativo
per il recepimento dell'EUCD. Essendo nato da una delega ottenuta
dal Governo, il decreto finale potrebbe essere approvato senza
alcuna discussione in Parlamento.
Da quanto ha iniziato a circolare, la bozza del decreto ha destato
notevole interesse per un suo aspetto in particolare: gli aumenti
di prezzo previsti per i supporti di memorizzazione come CD-R
e CD-RW, causati da un incremento delle tasse destinate alla SIAE.
La rivista AFDigitale ha addirittura indetto una petizione on-line
per l'annullamento dei rincari (http://www.edisport.it/edisport/afdigitale/petizione.nsf/Editoriale?Openpage).
Tuttavia, per quanto estremamente discutibile, la questione rincari
appare paradossalmente il problema meno grave della bozza di decreto
legislativo. Tale decreto, infatti, comprende sopprattutto le
pericolose innovazioni previste dall'EUCD:
- rende estremamente problematica e complessa la tutela dei diritti
degli utenti, specie contro gli abusi legati a "misure tecnologiche"
troppo restrittive
- rende pericolosa e potenzialmente illegale la produzione di
software interoperante, specie se libero: i creatori di applicazioni
poco gradite a qualche grosso produttore di software proprietario
rischiano fino a tre anni di carcere
- rende illegale la ricerca su crittografia e sicurezza informatica:
lo schema di decreto legislativo vieta l'aggiramento di "misure
tecnologiche" e la diffusione di informazioni sull'argomento,
senza alcuna tutela per la ricerca scientifica
- vieta di cedere o rivendere il materiale digitale acquistato
via Internet, con i rischi già illustrati per la futura
possibilità di accesso al sapere.
Grazie ad una delega ottenuta dal Governo, tale decreto è
giunto in tempi brevi ad una forma definitiva ed esecutiva, senza
dibattito parlamentare. Purtroppo, il clamore attorno ai (discutibilissimi)
aumenti di prezzo ha posto in secondo piano altri aspetti decisamente
più importanti e preoccupanti dello schema di decreto legislativo:
esso, infatti, rappresenta il recepimento dell'EUCD nella legislatura
italiana, ed introduce tutte le pericolose innovazioni previste
dalla direttiva.
Per ulteriori dettagli, incluse le modifiche
al decreto proposte da Assoli, oltre che per seguire i futuri
sviluppi della questione:
http://www.softwarelibero.it/progetti/eucd/index.shtml
Brevetti sul software
"Proteggiamo l'innovazione in Europa:
no ai brevetti software" è il titolo dell'appello
ai parlamentari europei diffuso in appoggio all'iniziativa intrapresa
da FFII (Free Information Infrastructure, http://ffii.org/),
associazione non-profit di Monaco di Baviera che si dedica alla
maggior diffusione possibile dell'informazione sull'elaborazione
dei dati. Un'azione, quella partita dalla Germania, sostenuta
in Italia da Assoli, anche se nel caso specifico si appoggia al
sito http://swpat.xsec.it/ e
all'ufficio dell'europarlamentare Marco Cappato. Già dall'intestazione
dell'appello si evince il bersaglio: la brevettazione delle opere
immateriali e, più nello specifico, del software.
Un pericolo che in Europa è alla sua terza apparizione
e che va a insidiare gli articoli 52.2 e 52.3 della Convenzione
di Monaco (Convenzione sulla concessione di brevetti europei,
Cbe), approvata il 5 ottobre 1973. Il primo tentativo coincide
con i lavori della Conferenza di Parigi (14-25 giugno 1999). Il
secondo si ripresenta meno di un anno e mezzo più tardi
con la conferenza di Monaco (20-29 novembre 2000). Entrambi non
hanno sortito l'effetto desiderato.
In risposta al terzo tentativo, lanciato a settembre, Assoli ha
raccolto il testimone europeo diffondendo la "Richiesta di
azione" proposta negli altri paesi e sollecitando piccole
e media imprese e professionisti attivi nel campo del software
libero a firmare l'appello ai parlamentari europei contro i brevetti.
La proposta della Commissione Europea sulla
brevettabilità delle innovazioni nel software richiede
che il Parlamento Europeo, i governi degli stati membri ed altre
figure politiche diano una chiara risposta.
Le maggiori preoccupazioni riguardano diversi fatti:
- l'Ufficio Europeo per i Brevetti (UEB), in contraddizione con
il testo e lo spirito della legge, abbia garantito decine di migliaia
di brevetti sulle idee riguardanti la programmazione e gli affari,
che chiameremo "brevetti sul software".
- La Comissione Europea (CEC) sta esercitando pressioni affinché
questi brevetti siano legalizzati e resi applicabili in tutta
Europa. Nel fare ciò, la CEC sta ignorando il chiaro e
ben argomentato appello della grande maggioranza di professionisti
del software, compagnie, scenziati ed economi.
- La CEC basa la sua proposta su una bozza di documento scritta
apparentemente dalla Business Software Alliance (BSA), una organizzazione
statunitense guidata da poche grandi compagnie, come Microsoft,
che ha un considevole interesse su tale argomento, dato che attualmente
il 60% dei brevetti per il software accordati dall'UEB sono detenuti
da compagnie statunitensi.
- I brevetti sul software interferiscono con il diritto d'autore
su questo e per i creatori di software tendono a portare all'espropriazione
piuttosto che alla protezione della loro proprietà. Dei
numerosi studi economici esistenti, nessuno conclude che i brevetti
sul software portino ad una maggiore produttività, innovazione,
diffusione del sapere o siano, in qualche altro modo, macro-economicamente
vantaggiosi. La brevettabilità del software proposta da
CEC/BSA, inoltre, porta a diverse inconsistenze all'interno del
sistema dei brevetti e annulla le centrali assunzioni su cui si
basa. Come risultato, ogni cosa diventa brevettabile e non ci
può più essere alcuna sicurezza legale.
- Le istituzioni del sistema europeo dei brevetti non sono in
alcun modo soggette sigificativamente ad un controllo democratico.
La divisione tra potere legislativo e giudiziario non è
sufficiente ed in particolare l'UEB sembra essere terreno fertile
per gli abusi e la pratica dell'illegalità.
Per queste ragioni, gli appelli delle varie
Associazioni avanzano le seguenti richieste:
- sollecitiamo il Parlamento ed il Consiglio europeo a rifiutare
la proposta direttiva COM(2002)92 2002/0047.
- sollecitiamo il Parlamento Europeo a trovare un modo per obbligare
l'UEB a rifondarsi, per come è intesa la brevettabilità,
sulle sue linee guida d'indagine del 1978 o un equivalente, in
modo da reinstaurare la corretta interpretazione della CBE.
- suggeriamo che un tribunale europeo indipendente sia obbligato
a riesaminare su richiesta di un qualunque cittadino un qualsiasi
brevetto che a prima vista possa sembrare accordato sulla base
di una scorretta interpretazione delle direttive sulla brevettabilità
dell'EPC, e che l'UEB, in tali casi, sia obbligata a rimborsare
ai precedenti detentori del brevetto tutte le tasse da loro pagate.
- sollecitiamo i legislatori, sia a livello europeo che nazionale,
affinché approvino il corrente testo dell'EPC e considerino
la sua riapplicazione in accordo alla proposta http://swpat.ffii.org/stidi/epc52/index.de.html,
ciò fino a quando sarà ritenuto necessario, in modo
da evitare interpretazioni scorrette da parte dei tribunali.
- proponiamo che il Parlamento ed il Consiglio Europeo considerino
di rendere palesi i limiti della brevettabilità nel caso
del software e delle creazioni dell'ingegno emanando una direttiva
europea secondo le linee delle contro-proposte disponibili su
http://swpat.ffii.org/stidi/javni/index.de.html
e http://swpat.ffii.org/papri/eubsa-swpat0202/index.en.html#prop.
- chiediamo che ogni proposta di legge (incluse le proposte della
direttiva CEC e le regole create dai precedenti giuridici) riguardante
la brevettabilità sia verificata attraverso un sistema
di prove costituito da esempi di applicazione del brevetto, in
modo da vedere al di là di ogni dubbio se ciò porterà
effettivamente i risultati desiderati e non lascerà spazio
ad alcuna interpretazione sbagliata.
- proponiamo che il Parlamento Europeo crei un Comitato Permanente
sulla Brevettabilità, con lo scopo di assicurare che i
brevetti siano accordati solo nelle condizioni in cui questi siano
vadano nella direzione del pubblico interesse. Questo comitato
dovrebbe essere composto da persone del MEP ed indipendenti, esperti
in vari campi dell'ingegno quali matematica, informatica, scienze
naturali, ingegneria, economia, epistemiologia, etica e giurisprudenza.
Il numero dei detentori di brevetti, funzionari dell'ambiente
o altre persone le cui entrate e carriere dipendano dalla comunità
dei brevetti, deve essere mantenuto esiguo (ad esempio il 10-20%).
Il comitato dovrà controllare ogni legge sui brevetti così
come le interpretazione che gli uffici brevetti e i tribunali
ne faranno. Inoltre dovrà istituire incontri, proporre
studi specifici sugli effetti del sistema dei brevetti e stimolare
una ricerca correlata nel modo più aperto e inclusivo possibile.
Il comitato dovrebbe segnalare al Parlamento Europeo in che misura
la realtà dei brevetti è conforme alla teoria ed
agli obiettivi di politica pubblica della Comunità Europea
e dei relativi membri. Il lavoro di questo comitato dovrà
rivolgersi verso le preoccupazioni sollevate dal Comitato del
Parlamento Europeo per gli Affari Legali ed il Mercato Interno
per il Controllo di Qualità nell'UEB, come espresso nella
discussione sulla regoloamentazione comunitaria sui brevetti COM(2000)0412.
- proponiamo che il Parlamento Europeo crei un Comitato d'inchiesta
per investigare sulle varie accuse di comportamenti irregolari
tenuti da coloro che propongono le direttive sulla brevettabilità
del software e delle opere d'ingegno all'UEB ed al CEC, come la
loro stretta collaborazione con una limitata cerchia di potenze,
il loro ragionare incoerente ed il loro apparente disprezzo dei
principi democratici e legali, e di proporre misure per una riforma
in modo da prevenire il ritorno di questi fenomeni nel futuro.
- riteniamo che, almeno fino a quando i problemi nell'UEB non
saranno risolti, ogni nuova regolamentazione, come Brevetto comunitario,
sia implementata attraverso istituzioni differenti dall'UEB.
Per ulteriori dettagli, nonchè per
seguire i futuri sviluppi della questione:
http://swpat.ffii.org/ e
http://swpat.xsec.it/
Pubblica Amministrazione
Il software libero sta diventando un argomento
sempre più spesso collegato alla pubblica amministrazione.
La conferma più istituzionale a questa affermazione deriva
dalle indicazioni contenute nell'"Indagine conoscitiva sul
software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione"
(http://www.innovazione.gov.it/ita/comunicati/open_source/indagine_comm
issione_os.pdf). Un documento frutto del lavoro della Commissione
ministeriale di indagine sull'open source, presieduta Angelo Raffaele
Meo, docente al Politecnico di Torino, che dà un rilievo
ufficiale all'argomento.
L'argomento, tuttavia, non è nuovo. E se anche l'Aipa (Autorità
per l'informatica nella pubblica amministrazione), nel maggio
2002, aveva rilasciato uno studio dal titolo "Il software
Open Source (OSS), scenario e prospettive" curato da Francesco
Grasso (http://www.aipa.it/servizi%5B3/notizie%5B2/scenariooss.pdf),
la comunità del software libero si interroga da tempo sui
rapporti e sui vantaggi per la cosa pubblica dalla sua adozione.
Da questo presupposto, scaturisce anche il progetto di Assoli
"Il Software Libero per la Pubblica Amministrazione"
il cui contenuto è illustrato nella sua introduzione.
"L'Associazione Software Libero constata con soddisfazione che la pubblica amministrazione italiana, a vari livelli, sta favorendo l'adozione del software libero tramite appositi provvedimenti volti a rimuovere ostacoli alla sua diffusione, o lo promuove attivamente riconoscendone l'importanza strategica. Gli enti pubblici locali e nazionali che vorrebbero impegnarsi su questa strada, però, rischiano di essere ostacolati dalla carenza di informazione sul tema. Vista la delicatezza del dibattito che si è ormai esteso al di fuori della comunità, per coinvolgere media ed importanti organi politici, l'Associazione costituisce un gruppo di lavoro, che si propone di raccogliere sistematicamente le fonti di conoscenza sull'argomento, e di diffonderle comunicando direttamente con stampa e organi politici. Come primo passo per facilitare il lavoro è stata creata una mailing list di discussione e coordinamento all'indirizzo: pa@softwarelibero.it".
Il documento prosegue indicando quelli che,
nell'opinione di Assoli, sono i cardini - riportati integralmente
- su cui confrontarsi e discutere. Prima di procedere nella loro
presentazione, va ricordato che l'Associazione, per mantenere
aggiornata l'evoluzione della questione, ha avviato anche due
sezioni che si occupano di monitorare rispettivamente il dibattito
e quanto viene pubblicato.
Un numero sempre maggiore di amministrazioni locali e nazionali
privilegiano, con appositi atti di legge, il software libero nell'utilizzo
all'interno delle proprie infrastrutture informatiche.
Ricordiamo in breve i benefici principali attribuiti all'adozione
del software libero da parte degli enti pubblici:
- La promozione dello sviluppo economico locale: il modello di
sviluppo e vendita del software libero è, infatti, un modello
collaborativo e diffuso, che consente a una pluralità di
attori economici di beneficiarne (sviluppatori, imprese di servizi,
utenti). I costi di acquisto del software, infatti, si spostano
dalle licenze alla personalizzazione, consentendo lo sviluppo
di imprese locali di servizi. Questo può rilanciare un'economia
nazionale del software, mentre finora molti paesi erano costretti
ad importare costosi pacchetti dall'estero.
- La trasparenza e la sicurezza: il fatto di poter disporre del
codice sorgente dei programmi con cui vengono memorizzati e trattati
i dati dei cittadini offre la possibilità di verificare
la sicurezza delle applicazioni software. La disponibilità
del sorgente a una vasta comunità di programmatori interessati
a testarlo comporta notevoli vantaggi nella risoluzione di problemi,
senza dover attendere le soluzioni ufficiali emesse dai produttori.
- La condivisibilità del software: il fatto di poter mettere
a disposizione di altri enti pubblici il software sviluppato da
un ente, nell'ottica di promozione del bene comune che è
propria di questo settore; questa possibilità è
garantita dalle licenze software "libere", in conformità
alla legge n. 340 del 24 novembre 2000 (art.
25, comma I) che richiedeva proprio questo in ogni contratto di
acquisto software stipulato da un ente pubblico, legge ampiamente
disattesa anche perché poco nota.
- L'ereditarietà del software: il fatto di poter cambiare
fornitore senza dover perdere l'investimento fatto; grazie agli
standard aperti utilizzati nel software libero infatti tutti i
professionisti IT, utilizzando linguaggi comuni, possono lavorare
sulle applicazioni sviluppate in precedenza da altri. Diventa
così più semplice mettere in concorrenza i propri
fornitori (non è un caso che il modello di sviluppo proprietario
o chiuso abbia generato un impressionante monopolista), quando
si hanno le specifiche e la documentazione relative al codice
software.
Per ulteriori dettagli e aggiornamenti:
http://www.softwarelibero.it/pa/
Associazione Software Libero, luglio 2003