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Prefazione
Indigeni di un pianeta
virtuale
Se le organizzazioni
commerciali assumono la gestione della Rete dalle
istituzioni pubbliche, chi vi avrà accesso e a chi
sarà negato? Chi deciderà che cosa potranno
dire e fare gli utenti della Rete? Chi farà da
giudice in caso di disaccordo sul diritto di accesso o
sul comportamento telematico? Questa tecnologia è
stata sviluppata con denaro pubblico. Deve esserci un
limite alle tariffe che le aziende private possono
praticarci in futuro per farci pagare l'utilizzo di una
tecnologia nata e sviluppata con il denaro delle nostre
tasse? (...) Ci sono buone probabilità che i
grandi centri di potere politico ed economico trovino il
modo di mettere le mani anche sulle comunità
virtuali, come è sempre accaduto in passato e via
via con i nuovi mezzi di comunicazione. La rete è
ancora in una condizione di autonomia, ma non può
rimanervi a lungo. È importante quello che
sappiamo e facciamo ORA, perché è ancora
possibile che i cittadini del mondo riescano a far
sì che questo nuovo, vitale strumento di dibattito
resti accessibile a tutti prima che i colossi economici e
politici se ne approprino, lo censurino, ci mettano il
tassametro e ce lo rivendano. (...) Forse in futuro gli
anni Novanta verranno considerati il momento storico in
cui la gente è riuscita, o non è riuscita,
a cogliere la possibilità di controllo sulle
tecnologie comunicative".
Howard Rheingold
E fu
così che gente dedita a una irrefrenabile voglia
di vivere fu trasformata in gente dedita a
un'inarrestabile voglia di consumare. Dentro questo
stomaco sociale ci è cascata anche la telematica.
Purtroppo. Ma cosa fu la telematica? Sono trascorsi pochi
anni, eppure il passato remoto è d'obbligo. Questo
libro ricostruisce alcune tappe di un percorso di
libertà e di speranze originarie di quella che fu
la telematica sociale. Speranze che furono pagate:
sequestri, perquisizioni, silenzi. La telematica sociale
ne uscì cambiata, quasi irriconoscibile.
Entrarono in campo nuovi soggetti e gli indigeni del
pianeta virtuale furono recintati in riserve o cooptati
nel business. Quegli indigeni tecnologici che pensavano
di essere gli esploratori di un nuovo mondo furono
sommersi dalla cyber-ondata che avevano da tempo atteso e
suscitato. Ogni libro di telematica invecchia e diventa
inutilizzabile o quasi nel giro di un anno o meno. Ma
questo libro è qualcosa di permanente. Potete
metterlo negli scaffali e non toglierlo più, ci
resterà: a differenza dei manuali d'uso di
Windows. È un contributo storico e a consegnarcelo
è Carlo Gubitosa, intellettuale di base, una mano
sulla tastiera e l'altra a sfogliare libri, profondo
conoscitore dei computer e al contempo analista sociale
dei processi di cambiamento in cui potere e tecnologie si
mettono in gioco a vicenda.
È anche un libro di testimonianza e di
organizzazione di testimonianze raccolte. Ma non è
un libro di ricordi nostalgici. È invece un
contributo alla consapevolizzazione. Stiamo infatti
assistendo a un processo di diffusione di Internet non
accompagnato da una parallela consapevolizzazione.
Ingoiamo tutto. Senza sapere cosa stiamo ingoiando.
Dietro la pubblicità di Windows 98 non riusciamo a
vedere i retroscena. Vediamo solo scatole e non siamo in
grado di romperle. Non siamo cioè in grado di
entrare dentro i meccanismi del potere che agiscono
dentro le tecnologie e i loro standard.
Più di vent'anni fa il libro L'ape e
l'architetto aprì un dibattito sul rapporto
fra scienza, tecnologie e potere. Oggi il potere è
riuscito a vincere e il dibattito non c'è
più e, se c'è, è considerato solo
uno sterile vaniloquio di tecnici frustrati. Eppure le
tecnologie abbisognano di un contestuale processo di
creazione di una cultura e di una consapevolezza in cui
collocare in modo cosciente il loro uso e le stesse
modalità del loro funzionamento, affinché
non si creino squilibri, poteri accentrati, monopoli,
standard esclusivi ed escludenti.
"Usate Internet, usate i modem, usate i computer: e
soprattutto comprateli!". Oggi non si parla
più di alfabetizzazione e di cultura informatica.
Sui libri di scuola, sulle dispense distribuite in
edicola, nei corsi "per il popolo" diffusi dai
giornali l'informatica si è tradotta in qualcosa
di molto semplice e chiaro: significa conoscere Windows e
i programmi della Microsoft, Office in testa. Che senso
ha allora parlare di cultura informatica? Viviamo una
rivoluzione informatica la cui filosofia e cultura non
sono nella testa degli "intellettuali" (dove
sono finiti?) ma nei prodotti informatici in vendita nei
negozi. Il Pensiero Unico e l'Interfaccia Unica si vanno
diffondendo con incredibile facilità, con la scusa
della semplicità: "Vogliamo perdere poco
tempo, vogliamo l'informatica pratica".
Perché dunque disquisire di cultura informatica?
Basta con la cultura! La cultura è piena di dubbi
e di domande. I dubbi e le domande fanno perdere tempo. E
il tempo è denaro. Occorre invece fare, agire,
premere i tasti giusti, cliccare sul mouse e il gioco
è fatto. "Troppi perché
guastano", diceva un mio professore di matematica.
Il processo di omologazione sociale e culturale in corso
incontra sul terreno informatico e telematico ancora meno
resistenze, ed è intuibile il perché:
troppo tecnica la materia, troppo difficile resistere
all'avanzata dell'uomo più ricco del mondo, Bill
Gates.
Il silenzio su questo processo è frutto di
un'incredibile sottovalutazione delle forze
politico-culturali che prima di altre avrebbero dovuto
fiutare puzza di bruciato. Ma su Internet e l'informatica
il vuoto di idee forti è dovuto al vuoto di idee
puro e semplice. Anzi: si sono usate pagine preziose di
qualificati giornali per individuare nella pedofilia la
più rischiosa minaccia dentro Internet.
Distogliendo l'attenzione da un'altra insidia, molto
più profonda e difficile da contrastare: la
nascita di monopoli di fatto capaci di controllare il 95
per cento del mercato dell'informatica. Informazioni
inconsistenti o errate hanno trovato terreno fertile in
giornalisti impreparati, perché sprovvisti di una
cultura critica di base su cui poggiare l'informazione
sui computer e la telematica. Nella telematica c'è
il potere? Dov'è? A cosa mirare, da cosa
difendersi? Oggi nella comunicazione telematica – dicono
giustamente alcuni – si spreca un'occasione unica di
libertà: è come se Gutemberg fosse vissuto
per stampare giornali di pettegolezzi. Ma non è
del tutto vero che la gente spreca un'occasione unica
solo con la telematica: tanta gente spreca la grande
occasione unica di cui dispone, ossia la vita. Se si
spreca la vita, non ha senso parlare di spreco della
telematica.
Nelle pagine di questo libro si ritrovano le speranze di
cui si alimentava l'attivismo telematico della prima
metà degli anni Novanta. È stato proprio
contro quella grande stagione di aggregazione in rete che
si sono abbattute ondate che hanno scompaginato quando si
stava formando. Questo libro ricostruisce i retroscena
dell'ondata dei sequestri. Ma serve più in
generale a capire che quello della telematica non
è un terreno di tecnologie neutro, ma un campo di
contesa politica fra chi vuole concentrare il potere e
chi vuole distribuirlo. La telematica di base che si era
formata nei primi anni Novanta aveva caratteristiche
incompatibili con il mercato. Ad esempio vietava la
diffusione di messaggi pubblicitari. Questo divieto
nasceva dall'esigenza di mantenere indipendenti le reti
che stavano nascendo sulla base del sacrificio personale
di pochi pionieri. E tutti erano gelosi di questa
indipendenza dal mercato. Indipendentemente dal credo
politico e dal ceto sociale, i pionieri del modem non
volevano far transitare la pubblicità. E che
futuro poteva avere un fenomeno del genere? Non fu preso
in considerazione neppure dai critici del mercato e del
neoliberismo. Un altro aspetto che rendeva incompatibile
col mercato le prime reti telematiche basate su BBS era
l'economizzazione delle risorse e l'aumento
dell'efficienza. Ci fu un lungo periodo di tempo, diciamo
fino al 1995, in cui si poteva tranquillamente fare
telematica con aggeggi comprati cinque o addirittura
dieci anni prima. La ricerca si concentrava non
sull'incremento dell'hardware ma sull'aumento della sua
efficienza, puntando su soluzioni ingegnose per i
programmi di comunicazione. Fiorirono software che
consentivano di aumentare la velocità di
trasmissione, di comprimere i file, di contenere le
bollette telefoniche: una vera e propria
"università povera" che diffondeva
ciò che era sconosciuto nell'università,
quella vera, la quale in piccola parte era collegata a
Internet (e dotata di megarisorse) e in gran parte era
del tutto ignorante e arretrata in questo campo.
La stagione della telematica basata sui BBS, quella in
cui Internet non era ancora sul mercato, produsse lo
stesso effetto provocato dalla crisi del petrolio del
1973. Allora la scarsità delle risorse
energetiche spinse a progettare motori economici; la
telematica dei BBS spinse a progettare modelli
informativi basati sull'essenzialità della
comunicazione e sulla sua massima efficienza con risorse
scarse. E da qui discendeva anche il divieto di inondare
le reti con messaggi pubblicitari. Nacque allora attorno
alla telematica una fama di "sorella
disobbediente" della televisione. Televisione regno
della pubblicità e della comunicazione
unidirezionale, telematica culla di una nuova
comunicazione: interattiva e fatta dai cittadini. Quella
strategia dovette sbattere la testa su ciò che
questo libro racconta: sequestri, controlli, silenzi. A
chi poteva interessare una telematica che rovesciava le
regole del potere? Altro grosso difetto di questa
telematica di base era che – basandosi su risorse scarse
– richiedeva l'unione di decine e decine di individui. I
BBS erano diventati dei centri di aggregazione, attorno a
un computer e a un modem si formavano gruppi di persone.
I sysop erano in certi casi "missionari" nel
deserto che andavano a raccogliere i discepoli di una
nuova era. In questo clima di entusiasmo collettivo le
persone collaboravano in nome di un comune interesse e le
divisioni politiche, pur manifestate, non costituivano
ostacolo alla collaborazione. PeaceLink ha ricevuto un
grande aiuto da persone che militavano su sponde
culturali e politiche molto distanti.
Viceversa chi avrebbe dovuto dare una mano non la diede,
non intuì neppure la novità o, se la
intuì, ebbe paura di perdere il proprio potere. La
telematica stava infatti profilandosi come un movimento
simile a quello del '68, che rimescolava le carte e
rimetteva in dubbio le vecchie certezze: chi comanda?
Cosa è efficace? Cosa significa comunicare? Cosa
è un'associazione? Tante associazioni che ragione
avevano di esistere, se i cittadini si auto-organizzavano
e facevano cultura e volontariato coordinandosi in rete?
Nacque una sorta di utopia anarchica, una specie di
ideologia dell'autogestione che sentiva di fare a meno
dei direttivi, delle federazioni, delle forme associative
e politiche tradizionali: la rete era partecipazione dal
basso e comunicazione diretta senza filtri. Fu la
stagione delle "comunità virtuali"
descritte da Howard Rheingold. Contro tutto ciò,
cosa poteva fare il potere, quel potere che si esprime in
mille forme, dalle piccole alle più grandi?
Aspettò il riflusso. E il riflusso venne. In parte
fu spontaneo, in parte no. In questo libro troverete
ciò che spontaneo non fu.
Oggi, cosa è rimasto di quella stagione di grandi
speranze? La saggezza e l'esperienza. E la sensazione che
la telematica divori le persone. Un programmatore dopo
alcuni anni di intenso lavoro diventa una larva umana,
disse in una conferenza l'informatico cognitivista
Giovanni Lariccia. L'effetto usurante della telematica
è stata un'esperienza che molti hanno fatto:
centinaia di pagine elettroniche da sfogliare ogni giorno
sono una battaglia. Ma mentre sfogliare un giornale
è una libera scelta, sfogliare centinaia di
messaggi e cercare quello che ti chiama in causa... non
lo è. In questa frenetica giostra molti si sono
stancati. E dall'utopia del "comunicare dal
basso" sono scesi a più miti consigli,
preferendo una calma e rilassata lettura dei quotidiani
online su Internet. La cultura della partecipazione
diretta nata con il '68 e diffusasi nella prima
metà degli anni Settanta, è sbarcata sul
pianeta telematico e ha conosciuto gli stessi stressanti
processi di disillusione. "In rete si potrà
partecipare senza spostarci da casa", dicevamo. E
pensavamo che le difficoltà alla partecipazione
fossero soprattutto dovute alle coordinate spaziali e
temporali, alla difficoltà di spostarci, di
trovare l'ora libera in comune. E invece si è
visto che le difficoltà non erano solo logistiche,
non stavano nei chilometri da percorrere e nel tempo da
trovare: abbattuti questi ostacoli (che già nel
'68 furono abbattuti sull'onda di un incontenibile
entusiasmo) se ne incontrarono altri. E si è
scoperto che – mentre nella discussione a voce tutto
termina nell'arco di tempo della discussione stessa –
nella discussione in rete si producono milioni di parole
che non tutti poi vanno a leggere. La facilità
della comunicazione si è rovesciata nella
straripante abbondanza e ridondanza della stessa.
Alla fine il riflusso si è avuto sul terreno della
qualità umana: cosa abbiamo da dire? Cosa abbiamo
da dirci? Il virus della rassegnazione e della
banalità si è diffuso: mai si avevano
così poche cose da comunicare ora che se ne
sarebbero potute comunicare un'infinità. E
un'infinità se ne comunicano: e sono in genere
pezzi presi da giornali e comunicati di associazioni;
raramente sono messaggi nati dalla tastiera dei
"telematici di base". Il giornalismo di base
non lo fa più nessuno o quasi, mentre era un
cavallo di battaglia di giornali e di persone dalle idee
"alternative". Oggi sembra di annegare in un
mare virtuale di cose inutili e non espresse altrove o
già dette e riportate anche su Internet. Vige una
sorta di rassegnazione alla fatalità o alla
mediocrità. Tanto tutto si decide altrove. Si
riproduce sulla rete la banalità e
frammentarietà della vita quando la rete era nata
per opporsi a tale banalità e
frammentarietà. In un mondo in cui i 500
miliardari più ricchi hanno una ricchezza pari
alla metà più povera del pianeta, è
facile pensare che i soldi contino più dei numeri
e che la pressione della massa, per quanto organizzata e
informata, conti molto poco o nulla rispetto a poteri di
tale forza e concentrazione. Chi è seduto di
fronte al proprio computer e può comunicare con il
mondo ha perso la baldanza di un tempo, quando gli
dicevano che con Internet era al centro del mondo; ora si
sente un granello di sabbia che nessuno vedrà. Ma
chi legge questo libro troverà invece la forza
delle idee di chi non ha smesso di credere nelle
alternative nate dal basso, di chi non si è
rassegnato all'idea che 500 miliardari contino più
di tre miliardi di poveri.
A qualcuno potrà sembrare sterile rivangare
vecchie storie, rievocare censure e tentativi di
imbavagliamento: non c'è più bisogno di
imbavagliare nessuno, il potere ha già vinto.
L'alternativa ha già esalato l'ultimo respiro:
perché infierire ancora? In effetti non sembra
probabile che il potere voglia stravincere imponendo
dall'esterno una vittoria che riesce a ottenere meglio se
si fa largo nell'anima della gente in forma di
rassegnazione e banalità. Ma c'è un dato su
cui occorre riflettere: la lotta per la libertà
telematica sta solo iniziando. I suoi protagonisti
saranno sempre più i senza voce del terzo mondo.
Su di essi si abbatteranno ordini di censura a non
finire. Spegneranno i computer liberi con i mitra
spianati. La difesa della libertà telematica si
intreccerà con la difesa dei diritti umani e
ciò che abbiamo vissuto qui in Italia sarà
solo una piccola prova generale di ciò che
avverrà nel mondo. Il potere che consente alle
società appagate di inebetirsi un po' di
più con il computer non consentirà invece
alle società povere e oppresse di lanciare il
proprio grido libero al mondo, di documentare tutte le
malefatte delle nostre multinazionali all'estero, di
riprendere in rete quella centralità che il
silenzio dei media cancella. Il terzo mondo e le nazioni
dove i diritti umani vengono sistematicamente calpestati
eserciteranno in ambito telematico quella presa di
coscienza che noi avremo assopito e che questo libro
documenta con testarda e lucida precisione. Quando questo
spostamento del baricentro culturale e della coscienza
critica avverrà, allora noi dovremo scegliere da
che parte stare e riprendere il filo del discorso che
questo libro affida alla nostra intelligenza, se ci va di
esercitarla ancora per un cambiamento sociale.
Alessandro Marescotti
a.marescotti@peacelink.it
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